Non è la prima volta che un singolo episodio rischia di oscurare la realtà di un’intera categoria.
È bastata una frase, pronunciata da un macchinista coinvolto in un caso di uso di sostanze, per far rimbalzare ovunque l’idea sbagliata che il problema sia diffuso.
È bastato poco per insinuare un sospetto ingiusto, pericoloso e lontano dalla verità. La verità è che quella affermazione - che era comunque doveroso riportare - è un’eccezione, non la regola.
Ed è giusto ribadirlo con forza, perché dietro ogni treno che arriva puntuale, dietro ogni viaggio sicuro, ci sono persone che fanno un lavoro difficile, faticoso, spesso silenzioso ma straordinariamente importante.
Chi lavora in ferrovia lo sa bene: la sicurezza non si regge solo sulla tecnologia, ma sull’attenzione e sulla lucidità di chi è in cabina.
Essere macchinisti significa vivere una professione che non ammette compromessi. Come abbiamo tante volte ricordato sulle nostre pagine, si lavora quando gli altri dormono, quando festeggiano, quando fuori piove o nevica, quando il caldo è soffocante o la notte è lunga e silenziosa. Si parte all’alba, si arriva tardi, si è soli per chilometri. Non è un mestiere per chi cerca comodità: è un mestiere per chi sceglie la responsabilità, ogni giorno.
Per questo, quando qualcuno pronuncia parole come “siamo in molti”, non parla per la categoria ma per sé stesso. Non rappresenta i macchinisti. Perché migliaia di persone vivono questo lavoro con rigore e sacrificio, consapevoli che basta un attimo di distrazione per cambiare tutto.
L’uso di droghe o alcol non è un fenomeno diffuso tra i macchinisti: è un’eccezione, grave, da affrontare con serietà ma senza trasformarla in un marchio collettivo.
La dipendenza è una trappola che non giustifica, ma spiega quanto l’equilibrio umano possa spezzarsi. Non è solo una questione disciplinare, è anche una questione di prevenzione, di ascolto e di consapevolezza. Chiedere aiuto non significa tradire la propria professione ma difenderla. Chi ammette di avere un problema compie un gesto di forza e responsabilità, molto più di chi finge che vada tutto bene.
L’episodio di Faenza non definisce chi lavora in ferrovia. Racconta la fragilità di un singolo, non la forza di molti. E quella forza, fatta di notti, di turni impossibili, di sacrifici familiari e di senso del dovere, è la vera identità della categoria.
È su quella forza che si regge la sicurezza di milioni di persone ogni giorno. Ed è questa la verità che va ricordata, al di là della frase detta in un momento buio da un lavoratore che non merita odio ma comprensione, che non va lasciato solo e che in un momento di estrema difficoltà ha evidentemente lanciato un grido di aiuto personale.