Prosegue a Lodi il processo per il deragliamento del Frecciarossa a Livraga del 6 febbraio 2020, uno degli episodi più drammatici nella recente storia ferroviaria italiana, con profonde ripercussioni umane e tecniche.
Durante l’udienza di ieri, l’interrogatorio di F.M., impiegato di Alstom Ferroviaria come system program manager, ha rappresentato un momento cruciale per il processo che cerca di far luce sulle responsabilità tecniche e gestionali che hanno contribuito all'incidente.
L'incidente, avvenuto quando il treno è andato in deviata invece di proseguire sul corretto tracciato, ha provocato la morte di Giuseppe Cicciù e Mario Dicuonzo, due macchinisti esperti, e il ferimento di 32 passeggeri.
Le indagini si sono concentrate sullo scambio e sulla gestione dei segnali, considerando anche eventuali mancanze nei controlli o errori progettuali.
L'incidente del Frecciarossa a Livraga è stato determinato da un errore tecnico specifico: un attuatore, installato sui binari poche ore prima del deragliamento, presentava un difetto dovuto a un errore di cablaggio avvenuto in fase di produzione. In particolare, due fili, il 16 e il 18, erano stati invertiti durante l'assemblaggio all'interno dell'azienda produttrice.
Questo errore, sebbene critico, è sfuggito sia ai test di controllo effettuati in fabbrica sia alle verifiche degli operai di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) al momento dell'installazione.
Il program manager di Alstom, ieri in Aula, si è difeso, affermando in prima istanza che quello della sicurezza degli attuatori non era una sua competenza e che anzi “molti degli argomenti di questo processo li ho studiati solo dopo l’incidente, per prepararmi e capire meglio la questione”.
Secondo l’imputato poi, nel momento dell’installazione dell’attuatore sui binari, non sono state adottate le precauzioni di base, “le procedure di Alstom erano corrette, funzionavano come a strati, ovvero poste una dopo l’altra si completano.
Però, nel momento di installazione dell’attuatore vige la logica della massima cautela, cioè che se un prodotto risulta guasto non bisogna mettersi a capire cosa non va e sistemarlo, ma bisogna sostituirlo in toto”.
A questo punto la pm incaricata dell'inchiesta, ha ricordato che più volte in fase dibattimentale, gli operai avevano spiegato come spesso aprivano gli attuatori e se ne occupavano.
Un altro momento significativo è stato rappresentato poi dall'interrogatorio di V.G., direttore della produzione di RFI (Rete Ferroviaria Italiana). Al centro delle domande poste dalla pm vi è stata la cosiddetta "prova di concordanza", un test cruciale da effettuare sull'attuatore una volta installato nel deviatoio.
Questa procedura prevede che almeno un tecnico rimanga in prossimità del binario per osservare direttamente il funzionamento del dispositivo, mentre altri operai, posizionati nella cabina di controllo, eseguono le manovre necessarie per testarne il corretto funzionamento.
Durante l'udienza, l’imputato V.G. ha sottolineato che la prova di concordanza è una procedura che dovrebbe sempre essere eseguita. Tuttavia, la pm ha evidenziato una discrepanza importante: alcuni operai, ascoltati in udienze precedenti, avevano dichiarato di non considerare questa prova come obbligatoria in ogni situazione.
Questa divergenza di interpretazione sulle prassi operative rappresenta un nodo cruciale per stabilire se vi siano state lacune nella formazione o nella comunicazione delle procedure di sicurezza da parte di RFI.
L'interrogatorio ha inoltre affrontato il tema della sostituzione degli attuatori. V.G. ha dichiarato che si tratta di una pratica straordinaria, riservata a casi di significativi malfunzionamenti, piuttosto che di una routine.
Il processo riprenderà a metà gennaio 2025. Il collegio giudicante punta a concludere l'istruttoria dibattimentale entro i primi mesi del 2025, con l'obiettivo di far emergere una visione chiara delle responsabilità e delle eventuali falle nei protocolli di sicurezza che hanno contribuito alla tragedia.
Fonte Il Giorno